Lunedì, 25 Giugno 2012 13:44

L’affaire Narducci. Quale legalità?

Scritto da  Gerardo

Da Domenico Pizzuti riceviamo una nota di riflessione sull' affaire Narducci, un assessore che ha lasciato l'incarico di assessore alla sicurezza nella Giunta comunale di De Magistris.
Con reciproche recriminazioni.




L’affaire Narducci. Quale legalità?
di Domenico Pizzuti


In un incontro recente con un alto funzionario dello Stato, nel commiato sulla porta questa autorità faceva presente che governare Napoli e dintorni è molto più complesso di altre realtà che pur aveva amministrato. Al di là della conoscenza adeguata tramite i canali della comunicazione, anche nell’affaire Narducci c’è qualcosa che non è stato messo in luce per capire i termini di una questione dirompente per la “defezione” in senso sociologico di un pezzo di pregio di una giunta comunale, con pubbliche recriminazioni reciproche a poco più di un anno dalla sua formazione.

Abbiamo rispetto per entrambi i contendenti Magistrati, prestati alla politica (si fa per dire) anche se con diversa esperienza amministrativa di governo ed attese dei cittadini nei loro confronti. Certamente non si può ridurre la defezione da un assessorato - per cui Narducci era stato scelto dal sindaco De Magistris - ad uno scontro tra due forti personalità nell’occhio del ciclone, della pubblica opinione, con offensori ed offesi, morti e feriti nell’onore. E’ una sconfitta per un sindaco e la sua squadra in una città che non ha bisogno di abbandoni ma di una coesione e cooperazione nell’amministrazione della polis neapolitana. La questione è realmente “politica” ed interessa amministratori ed amministrati, che non possono stare a guardare un assessore che abbandona l’ufficio cui era stato chiamato come in una partita tra due giocatori, in cui a nostro avviso perdono ambedue e la stessa città per il mal funzionamento di una squadra amministrativa.

Senza entrare in maniera puntuale nelle ragioni offerte dai due amministratori, non riteniamo che si debba far ricorso ad una “legalità” del sindaco De Magistris e ad un’altra dell’ex-assessore alla sicurezza Narducci, anche se il modo di applicazione della legge può essere diverso nell’esercizio delle funzioni giudiziali ed in quelle amministrative di un Comune metropolitano. Certo c’è una strana concezione della legalità amministrativa, per cui l’ex procuratore generale Galgano con fair play può dire: «La tradizione amministrativa di questa sventurata città fa sì che le regole siano applicate solo in parte» e l’assessore D’Angelo riconosce che le divisioni che si erano manifestate nella giunta era dovute al «modo in cui andava declinata la legalità. Perché una cosa è fare il pm e sanzionare, altro è il dovere della politica di costruire un’ alternativa o proporre una via di uscita affinché il rispetto delle regole sia anche costruttivo per la società». Le situazioni di illegalità, precarietà, ingiustizia permangono e sono tollerate per anni e decenni nell’attesa di un alternativa, come nel caso dei campi nomadi – questi sì autentici inferni – finchè non si procede a realizzare alternative abitative. E di fronte alle “vecchie logiche” denunciate a torto o a ragione dal Narducci, il vice sindaco Sodano rivendica l’assunzione dei dipendenti di Lavajet da parte dell’Asia come una operazione di pulizia, perché con l’internalizzazione di questi lavoratori «si andava a spezzare un legame tra imprese del Nord, e settori deviati anche a livello locale» (“Sodano: Narducci su Asia sbaglia”, Roma 21 giugno 2012, p. 2). Le decisioni politiche, amministrative che siano, fanno aggio sulla legalità che non può essere discrezionale o parziale, e comprende il rispetto formale delle procedure per esempio di assunzione come nel caso sollevato.

A nostro avviso, oltre le affermazioni pubbliche, il problema su cui riflettere ulteriormente riguarda il funzionamento di una squadra amministrativa ed il ruolo del sindaco, il tipo di leadership esercitato secondo tipologie sociologiche (democratico, autoritario, collegiale, ecc.) senza escludere una sua visibilità e ruolo di rappresentanza nella pubblica arena, perché una giunta non sia costituita da tessere frammentate che non si compongono in un disegno. Si tratta di allenare una squadra e di guidarla per la realizzazione di un disegno comune (programma di governo) secondo modalità di “partecipazione democratica” tanto declamata. L’affaire Narducci non si può ridurre alla serie di recriminazioni reciproche, ma richiama l’intimo funzionamento di una giunta, i modi di prendere decisioni collegiali senza nascondersi ognuno dietro il proprio impegno specifico, la coesione e cooperazione senza affiliazioni all’uno o all’altro o “camarille”. Occorre una riflessione ulteriore in giunta per fare squadra, comunicare e condividere problemi e soluzioni, ed una leadership programmatica e democratica al di là della discesa a mare della Villa comunale che non dispiace. Al di là delle questioni nostrane sarebbe utile conoscere meglio la conduzione della giunta comunale milanese da parte di Pisapia, e di quella torinese da parte di Fassino, per non rimanere prigionieri del localismo.

Ci preme un interrogativo: il Consiglio Comunale che raggruppa gli eletti dai cittadini non ha nulla da dire su questa vicenda che riguarda una defezione dolorosa dall’incarico assessorile e la coesione di una squadra che non abita solo nei piani alti di Palazzo San Giacomo e si deve con il suo Sindaco confrontarsi con l’assemblea dei consiglieri comunali?


Napoli 22 giugno 2012

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